N. 265 - Gennaio / Febbraio 2017

Il mitico film “Scarpette rosse” è diventato un balletto di Matthew Bourne: a questo coreografo-regista stravagante e cinefilo dedichiamo la copertina di questo numero. Alle notizia di attualità con le creazioni dei prossimi mesi e le attività delle compagnie e dei coreografi di spicco del panorama internazionale, si aggiungono reportages speciali da Vilnius (Lituania) e Cali (Colombia) e le recensioni degli ultimi spettacoli di:
 
Paris Opera Ballet
DC Entertainment
The Bavarian State Ballet
Royal Ballet Flanders
La Scala Ballet, Milan
Jone San Martin
Ballet Nice Méditerranée
Lyon Opera Ballet
The Royal Ballet, London
Rome Opera Ballet
Larreal, Conservatorio de Madrid
Ballet Preljocaj
Mediterranean Focus
Staatsballett Berlin
Ballet Zurich
 
Come sempre le nostre rubriche BalletTube e MultiMedia con gli ultimi DVD e libri e le notizie dal web.

Ballet2000 n. Gennaio / Febbraio 2017

Ashley Shaw, The Red Shoes (ph. Johan Persson)


Alcuni articoli scelti per voi


Il film Scarpette rosse è troppo famoso per osare affrontarlo ritraducendolo per il palcoscenico. Sarebbe in effetti un’operazione velleitaria se a metter mano all’impresa non fosse adesso Matthew Bourne, che ha dato ampie dimostrazioni di poterselo permettere, visto il suo ampio curriculum di eccellente “remaker”.
Matthew Bourne, a modo suo, è un “danzastorie”. Bisogna coniare un termine su misura, infatti, per questo coreografo e regista britannico, classe 1960, che ha studiato al Laban Center di Londra diplomandosi tardi, a 25 anni, ma non ha seguito la strada preferenziale della danza contemporanea angloamericana astratta, preferendo i grandi racconti, innamorato come si dichiara del cinema, del balletto classico e degli show del West End londinese, dove lui stesso ha collaborato a Children of Heaven (“I ragazzi del paradiso”) e Oliver!.
Nel 1987 Bourne ha fondato la sua compagnia, “Adventures In Motion Pictures” (ora New Adventures), con cui ha fatto sensazione nel 1995, per uno Swan Lake (“Il lago dei cigni”) al maschile che strizza l’occhio alla famiglia reale inglese. Niente tutù, ma calzoni piumati e, al cuore della vicenda, una storia d’amore impossibile tra il Principe solitario e il cigno dominante del branco di Hyde Park, mixando “romance” e umorismo. Con questo “balletto” Bourne si merita il “Tony Award for Best Choreography and for Best Direction of a Musical”. Una scena memorabile di questo Swan Lake finisce anche nel pluripremiato film Billy Elliot, quando il ragazzino ribelle e volitivo, che alla boxe preferisce il balletto sfidando i pregiudizi familiari e sociali, arriva a trionfare al Covent Garden davanti agli occhi commossi del padre minatore in lotta per difendere il posto di lavoro.
Prima di questo Lago dei cigni esplosivo di successo planetario, con pseudo Regina Madre e pseudo Carlo d’Inghilterra, il “ballettofilo” Matthew Bourne aveva già ridisegnato un Nutcracker! (“Schiaccianoci!”) trasposto in un cupo orfanotrofio degno di Dickens, dove la direttrice è cattivissima, e poi in un Regno degli zuccheri pop-rock color caramella con torta gigante, non senza il momento invernale, candido, che cita Les Patineurs di Frederick Ashton.
Da ricordare anche la sua Sylphide drogata e alcolista, una “bad girl” perduta e seduttrice, che muore tra le auto in demolizione anziché nel bosco. Questo Highland Fling del 1994 prende il titolo dalle terre scozzesi e da una danza folklorica, ma allude anche ai flirts da sabato sera. La ragazza irresistibile, con gli occhi bistrati da cinema muto, fa perdere la testa all’idraulico di Glasgow, James, che taglia le ali della sua troppo avventurosa e indipendente compagna con un paio di forbicioni da giardino.
La Cinderella (“Cenerentola”) che poi Bourne ha ricreato nel 1997 – protagonisti un pilota della Royal Air Force e una crocerossina durante la seconda guerra mondiale all’epoca del bombardamento di Londra – è stata un’ulteriore tappa nella riscrittura di grandi balletti, in questo caso un titolo del Novecento.
I temi eterni delle trame, come si sa, possono essere piegati a una reambientazione in qualunque epoca e in qualunque luogo del mondo. Basta saperlo fare, con intelligenza, e non in modo meccanico e strumentale.
In questa nuova Cinderella la fanciulla bruttina, vittima di un mobbing familiare degno dei balzani e malefici Addams, finisce per diventare Lana Turner/Ginger Rogers, e il suo pilota una sorta di David Niven/Fred Astaire, mentre la Fata in laminato d’argento porta Cenerentola alla festa in un side-car, e l’immancabile matrigna-drago, ubriacona e adescatrice di giovanotti, sembra Joan Crawford, “la cattiva”.
È, questo, un tipo di donna dominante e infelice cui appartengono pure, secondo Bourne, la Regina Madre di Swan Lake e la manager talent-scout protagonista di un suo sensualissimo e spregiudicato Dorian Gray (2008) da Oscar Wilde, che rimanda alla donna-boss arrogante e perversa di una hit come Il diavolo veste Prada.
Nel 2000, la Carmen di Bizet è diventata, per lo spiritoso Matthew, un CarMan bello e maledetto, un garagista gigolò in jeans e canottiera in clima American Graffiti che fa innamorare tutti, uomini e donne, come il cignone di Swan Lake (in origine Adam Cooper del Royal Ballet).
Dopo di che Bourne ha affrontato nel 2012 Sleeping Beauty (“La Bella addormentata”), completando così la sua trilogia alternativa dei capolavori di Ciaikovsky. Il clima qui è dark, gotico-vittoriano, con la Fata maligna Carabosse artefice della nascita stregata della Principessa Aurora, con le fate “buone” che si chiamano Feral e Tantrum e con il Conte Lilac come capo-Fate, anziché la solita dolce Fata dei Lillà. La ragazzina ovviamente cresce ribelle e maleducata e, appena sedicenne, si interessa al bel guardacaccia Leo ma anche al vampiresco figlio di Carabosse. Dopo cent’anni di sonno, come nella versione tradizionale (ma sopravvivendo come vampiri), nell’immancabile lieto fine ecco le nozze, e la maternità di una piccola vampirella…
L’ultima sfida per Matthew Bourne è stata una pellicola di culto come The Red Shoes. Da un altro film di enorme successo come il fantastico Edward Scissorhands (“Edward mani di forbice”) del visionario Tim Burton (1990), Bourne aveva ricavato una versione scenica altrettanto fortunata nel 2005, allestita con uno speciale tocco anni Cinquanta e carica di poesia onirica.
Bourne sa usare tutte le armi di una cultura a tutto campo e di un gusto vivace e a suo modo raffinato, con il decisivo apporto, da conoscitore della moda e del costume in ogni tempo, del suo scenografo-costumista abituale Lez Botherston, per “mettere in scena dal vivo il cinema”, specie quello musicale che tanto gli piace.
I suoi danzatori-attori sono formidabili, per l’espressività forte, corporea e facciale – da primo piano sullo schermo – nei panni di interpreti dai talenti plurimi pronti a incarnare sulla scena i miti del cinematografo classico.
Ogni nuovo capitolo frutto dell’abilità di storytelling tipica di Bourne, richiama l’attenzione di qualunque pubblico, conoscitore o no dei codici e dei repertori del balletto, poco importa. Matthew è senz’altro un “post-ballettomane” doc, che vince ovunque nel favore delle platee che vedono giustamente nel suo nome un marchio di entertainment alto, di sicura qualità.
Elisa Guzzo Vaccarino


Anche Matthew le fa rosse

The Red Shoes – cor. Matthew Bourne, mus. Bernard Herrmann – compagnia New Adventures
Londra, Sadler’s Wells Theatre

Questo The Red Shoes (“Le scarpette rosse”), presentato a Londra nel dicembre scorso, è il frutto di trent’anni di creazioni di Matthew Bourne. Direttamente ispirato al film-culto del 1948 di Michael Powell ed Emeric Pressburger, è un “balletto sul balletto” ma anche sull’impatto che il potere invasivo dell’arte può avere sulla vita. È la creazione di un coreografo maturo, capace di guardare al passato e al presente dello “strumento” con il quale lavora per creare qualcosa di nuovo. Ed è stato un enorme successo. Bourne, che da trent’anni delizia, avvince e sfida il pubblico, ha creato uno spettacolo di due ore che abbaglia anche grazie alle scene e ai costumi vistosi di Lez Brotherston e incanta con un bel pot-pourri di musiche per i film di Hollywood del compositore Bernard Herrmann.
La compagnia di Bourne, “New Adventures”, è un gruppo composto da danzatori-attori personali e versatili che il coreografo ha selezionato accuratamente negli anni e che sono particolarmente giusti per il suo lavoro, che spazia dal registro leggero e spiritoso a quello serio, dalle danze di sala al music-hall fino al balletto. I soggetti che mette in scena si appoggiano sulla loro capacità di narrare, dalle reinterpretazioni dei classici del balletto a Edward Scissorhands (“Edward mani di forbice”) a The Car Man (ossia Carmen). Alcuni di questi artisti lavorano da molto tempo con Bourne, riuscendo perfettamente adeguati a questa fusione di stili che ha ormai trovato un suo posto tra i generi dello spettacolo di danza di oggi.
Bourne è molto popolare in Inghilterra e le rappresentazioni di fine anno dei suoi balletti al Sadler’s Wells Theatre di Londra registrano sempre il tutto esaurito, una tradizione natalizia che è ormai comparabile a quella dello Schiaccianoci.
The Red Shoes non è solo una dichiarazione d’amore al film omonimo ma anche all’incantato e mitico mondo dei Ballets Russes e al glamour della società tra le due guerre. Bourne ha mantenuto i nomi del film per il triangolo amoroso composto da Boris Lermontov (personaggio ispirato a Diaghilev), dalla ballerina inglese Victoria Page e dal compositore Julian Craster; e per Ivan Boleslawsky, qui un’affettuosa parodia di Robert Helpmann che interpretava questo ruolo nel film. In più ha dato a tutti i danzatori del “Lermontov Ballet” nomi che evocano i grandi del passato: da Svetlana (Beriosova) e Pamela (May) a Anton (Dolin) e a Serge (Lifar).
La coreografia è ricca di riferimenti alla storia, dall’evocazione del Train Bleu e delle Biches della Nijinska per la scena del “Ballon de Plage” a Monte-Carlo, allo stile Lifar per la scena del “Concerto Macabre”, a brani di Ashton per le prove in sala. Bourne non teme di inserire balletti nel suo balletto, lasciando che il pubblico si cali a pieno in questo mondo: a chiudere la prima parte è una scena di 15 minuti di pura danza in cui viene proprio rappresentato il balletto che appare nel film The Red Shoes. Il coreografo crea così un suo modo personale di raccontare con la danza, qui, dato il contesto, decisamente più ballettistico di quanto non abbia fatto prima; è il caso del pas de deux di The Red Shoes, ma l’uso delle punte è frequente.
Bourne è forse più vicino di altri coreografi agli spettacoli dello West End londinese e di Broadway, ma i riferimenti culturali e le forme di danza che impiega per raccontare le sue storie sono così vari da non poterlo definire come un coreografo di quel genere.
Le scene di Brotherston sono di grande effetto e perfettamente funzionali allo spettacolo: un grande arco di proscenio che cala dall’alto, rotante e mobile, permette rapidi cambi di scena, dalla camera d’albergo di Julian e Victoria al salotto di Lermontov, dal Covent Garden al lungomare di Monte-Carlo.
La narrazione procede a ritmo altrettanto serrato; l’attrazione tra Victoria e Julian si manifesta durante le prove del balletto, ma è forse troppo serrato alla fine quanto la morte di Victoria arriva del tutto inattesa. Ciò che però Bourne sa fare bene è dare carattere, tanto ai personaggi quanto alla coreografia: non ha mai fatto danze inespressive e anonime per il corpo di ballo, tutti i suoi ensembles sono popolati di personaggi. Inoltre non sa resistere ai piccoli ‘numeri’ che divertono per la loro eccentricità: una “Sand Dance” (danza della sabbia) egiziana, tipica del music-hall inglese, fa la sua apparizione solo perché diverte.
Sono queste qualità, tra le altre, che spiegano il successo di Bourne e la popolarità dei suoi lavori; pur usando un ampio ventaglio di riferimenti, ha creato un suo marchio preciso di spettacolo, coreograficamente fluido, perfettamente collocato nel tempo e nello spazio. The Red Shoes è l’ultima delle sue creature e pare che già abbia un posto speciale nel suo cuore.
Gerald Dowler