I nostri più fedeli lettori (pardon, lettrici e lettori e ogni altro genere correctly comandato) avranno notato, nell’ultimo anno e mezzo, una certa irregolarità nei tempi di uscita della rivista. Spero che valgano a scusarci l’incertezza e tutto il resto di quest’epoca inaudita. Ma gli abbonati stiano certi che non perderanno alcun numero di quelli previsti; anzi ne invieremo loro uno in più, alla scadenza, per farci perdonare.
Che dire di questo numero? Che è segnato dalla scomparsa di diversi artisti di primo piano, ma ad un’età tale che la tristezza per la loro perdita è confortata dalla luce che vite e carriere così lunghe e operose hanno diffuso sull’arte della danza per tutta un’epoca che è la nostra. E tale luce resta viva nella nostra storia, non su una scena vuota, di notte, come la lampadina un po’ triste di John Neumeier nella copertina dello scorso numero di BALLET2000.
La copertina e l’articolo principale di questo ci riportano a una strana e quasi dimenticata creazione di Maurice Béjart, per una ballerina-attrice che emerge da un gran mucchio di scarpine da punta. Era Carla Fracci vent’anni fa, e oggi la luce è quella di Alessandra Ferri, altra italiana di fama mondiale.
Le nostre recensioni di queste pagine sono pure confortanti. Nonostante le restrizioni subite da teatri e festivals, le compagnie maggiori e non solo quelle, i coreografi, i danzatori, hanno continuato a lavorare e a produrre nei mesi scorsi, forse con un entusiasmo e una motivazione “etica” più sentiti che mai.
Lo confermano le pagine di notizie che riguardano invece il futuro prossimo, ricco di creazioni e di spettacoli nei festivals della seconda parte dell’estate.
E si conferma pure un’osservazione ovvia, che abbiamo già fatta ma che stenta ancora ad essere accettata pacificamente. Se è vero che le arti “vive”, il teatro, l’opera, la danza, hanno bisogno della vita vera del palcoscenico e del pubblico – e questo dev’essere ben chiaro ai governi che sembrano ancora accanirsi nella chiusura proprio dei luoghi pubblici meno rischiosi – pure, l’uso del video in streaming, nato come surrogato dello spettacolo dal vivo quando questo non è concesso, si sta imponendo in una forma propria. Il che non significa che possa mai sostituire la “verità” artistica ed emotiva del teatro vivo, ma che può affiancarsi ad esso stabilmente, per raggiungere un pubblico più ampio, per offrirgli più modi di visione. E chissà che non possa suggerire una nuova dimensione di creazione anche agli artisti stessi. Sembra proprio quel che sta accadendo.
A.A.