Articoli tratti da Ballet2000

Cunningham ultimo atto

Merce dixit: coreografia sì, compagnia no

Merce Cunningham sapeva quel che voleva: prima di morire all’età di 90 anni, nel 2009, aveva deciso quel che sarebbe dovuto succedere dopo la sua scomparsa. In breve, la Merce Cunningham Dance Company si sarebbe esibita in tournée per due anni dopo la sua morte ma poi avrebbe dovuto chiudere per sempre. Tuttavia il coreografo ha concesso ad altre compagnie di danza di ottenere i diritti per rappresentare i suoi lavori. Ma così, non c’è più una compagnia Cunningham (quella a suo tempo diretta dal coreografo stesso), in grado di approvare o correggere il modo in cui sono danzate oggi le sue coreografie.
Né sarebbe dovuta esistere una compagnia Cunningham trasformata in un gruppo eclettico, come è stato il caso delle compagnie di Martha Graham, José Limón, Paul Taylor o Alvin Ailey. La ricerca del nuovo (presentando lavori di qualità eterogenea ed estetiche disparate accanto al repertorio del coreografo-fondatore) è una possibilità. Ma, il più delle volte, finisce per svalutare la compagnia originale.
In questo caso, la compagnia non c’è più. Ma c’è il Merce Cunningham Trust, cioè una fondazione, un’entità amministrativa che detiene i diritti del coreografo e che può concederli alle compagnie di tutto il mondo seguendo quest’obiettivo dichiarato: “Il Trust promuove l’eredità artistica di Cunningham come un patrimonio vivo da tramandare alle future generazioni.” Il termine ‘eredità’ è la parola chiave… un’eredità che nel caso di Cunningham porta con sé promesse ma anche rischi.

MerceCunningham Trust, Night of 100 Solos A Centennial Event, Asha Graciaand Sophie Martin, image credit Stephen Wright


Vediamo le speranze. Il ruolo del Trust in quanto “produttore teatrale” è stato confermato la scorsa primavera con uno spettacolo dal titolo “Night of 100 Solos: A Centennial Event: Choreography by Merce Cunningham” che è stato concepito ed eseguito molto bene. Cunningham era nato il 16 aprile 1919 e quello che avrebbe dovuto essere il suo centesimo compleanno è stato celebrato nel mondo il 16 aprile scorso con un programma unico composto da 100 soli tratti dall’insieme della sua opera. Un evento teatrale eccezionale su larga scala, dato dal vivo lo stesso giorno alla Brooklyn Academy a New York, al Barbican a Londra e all’UCLA, l’Università della California a Los Angeles. Ognuno degli spettacoli nelle tre città poteva anche essere visto in rete in streaming.
Anche il programma che ho visto a Brooklyn si intitolava “Event”, rifacendosi a quella concezione speciale dello spettacolo inventata da Cunningham e appunto così chiamata. Qui, come al solito, le diverse sezioni erano tratte da lavori di Cunningham interamente coreografati, e i frammenti erano rappresentati contemporaneamente o l’uno dopo l’altro.
Il cast in ogni città era di 25 danzatori, ed è legittimo chiedersi se questi assoli restino tali, dato che sono eseguiti da più danzatori insieme. Ma nel mondo di Merce la simultaneità è un principio fondamentale in cui i danzatori mantengono spesso la loro indipendenza. Qui qualcuno danza degli assoli insieme a un gruppo ma non in quanto parte del gruppo.
La componente visiva dello spettacolo era impressionante, con accademici dai colori pastello o accesi che Reid Bartelme e Harriet Jung hanno disegnato per tutte e tre le serate. La scenografia invece era diversa da città a città: a Brooklyn, sono state proiettate dietro i danzatori immagini dell’artista Pat Steir che rappresentavano una gigantesca cascata d’acqua. La banda sonora era creata da compositori che hanno lavorato con Cunningham.
ersi, hanno scoperto che, nell’ambito della danza moderna, affrontare una tecnica con cui non si ha familiarità non è come provare un costume diverso.
Per esempio, il legato nella danza accademica è fondamentale; ma il modo di Cunningham di giustapporre passi slegati senza preparazione può far perdere l’equilibrio a un danzatore classico. Lo abbiamo visto anche qui; l’immobilità e l’equilibrio su una gamba hanno dato filo da torcere a ottimi danzatori.
In una compagnia di balletto, abbiamo visto una danzatrice ha avuto problemi a sollevarsi ed appoggiare il ginocchio sulla spalla di un danzatore e il suo partner è stato spinto in avanti dall’impatto del movimento.
In un film documentario sull’apprendimento della tecnica Cunningham, un danzatore di una compagnia contemporanea non cunninghaminana lamentava di dover danzare “come un robot”. Dopo il film, il conduttore del dibattito ha asserito che chiunque tra il pubblico presente avrebbe potuto eseguire un movimento alla Cunningham semplicemente alzando il braccio. Al contrario, Cunningham insisteva nel dire che solo danzatori perfeLa condizione imposta dal Trust era che nessuno degli interpreti potesse essere un ex danzatore della compagnia di Cunningham. Ma ogni programma di soli è stato selezionato e messo in scena da uno suoi dei veterani. Così, i casts erano composti da danzatori professionisti (alcuni anche noti) di altre compagnie: danzatori non cunninghamiani preparati da danzatori cunninghamiani.
In tal modo, il Trust vuol far passare il messaggio che i lavori di Cunningham possono essere trasmessi ad altri corpi e nel tempo, come un’eredità per l’appunto.
Il che è verissimo, se si mantengono standard alti, come in questo “100 Solos” a New York, in cui la responsabile era  Patricia Lent, assistita da Jean Freebury. A tutti quelli coinvolti va il nostro plauso, inclusi Ken Tabachnick, produttore esecutivo, e Trevor Carlson, “creative producer”.
Ma, dicevamo, ci sono anche rischi. Il Cunningham Trust è perfettamente conscio della differenza tra danzatori professionisti e debuttanti o allievi. Concede i diritti dei lavori di Cunningham ai gruppi di danza di università americane, ma pone delle restrizioni.
Tuttavia la politica di larga diffusione del repertorio di Cunningham potrebbe rivelarsi pericolosa. Si tratta di una democratizzazione rischiosa. Tra le molte compagnie di balletto e di danza moderna che hanno acquisito le opere di Cunningham da un giorno all’altro, i risultati sono stati alterni. Danzatori eccellenti, avvezzi a stili di danza completamente divttamente formati potevano danzare i suoi pezzi.
E in un altro incontro a New York, ci si è giustamente chiesti se la politica del Cunningham Trust non stesse andando nella direzione di far danzare i lavori di Cunningham a danzatori che lui non avrebbe mai voluto nella sua compagnia.
Il centenario ha prodotto dunque un certo dibattito con commenti anche di “esperti” che si sono appropriati a modo loro delle sue idee. “A Night of 100 solos” aveva casts molto diversi che comprendevano anche danzatrici nere; è stato detto non ce n’erano nella compagnia di Cunningham perché lui non le voleva. Ma, nel 1949, uno dei suoi primi lavori fu creato per Tanaquil Le Clercq, bianca, e Betty Nichols, nera.
Democratizzare Merce non vuol dire che chiunque può dire quel che gli pare su di lui...
Anna Kisselgoff

(Ballet2000 Italia n° 282 - Ottobre 2019

 

 

Sempre su Cunningham, nel 2012, Anna Kisselgoff aveva scritto:


La Merce Cunningham Dance Company si è esibita per l’ultima volta, in un grande "Event" a New York nel dicembre scorso. E l’opera di un genio della danza moderna e contemporanea rischia di scomparire, per volontà testamentaria del suo autore che considerava ogni suo lavoro un atto di creazione irripetibile. Ma il "Cunningham Trust" non vuole morire e i diritti di alcuni pezzi del "repertorio" saranno concessi ad altre compagnie

Quando chiesi a Merce Cunningham se avrebbe voluto che i suoi lavori fossero rappresentati tra cent’anni, si mise a ridere e disse: "No, perché in futuro si danzerà in modo completamente diverso". E così la Merce Cunningham Dance Company si è sciolta alla fine di dicembre con un’ultima serie di sei spettacoli in tre giorni a New York. Ma questo non mette la parola fine, come ha chiarito il Merce Cunningham Trust, un’organizzazione formatasi nel 2003, annunciando i suoi progetti per il futuro.
In ogni modo, quest’ultima apparizione della compagnia, insieme alla precedente stagione alla Brooklyn Academy of Music (che comprendeva anche la ripresa di un pezzo raro, Roaratorio) e alla rassegna "Merce Fair", che ha ripercorso la carriera di Cunningham, in modo un po’ scolastico, quest’estate al Lincoln Center Festival, sono stati tutti uno stesso e diverso omaggio di New York a uno dei suoi più grandi artisti.
Tuttavia nessuno di questi omaggi è stato tanto emozionante quanto il primo: uno spettacolo in memoria di Cunningham, appassionato e vibrante, nel quale i giovani danzatori della compagnia e i vecchi suoi ex danzatori si sono esibiti insieme poco dopo la morte del coreografo, avvenuta a 90 anni il 26 luglio del 2009. Questi primi spettacoli e quelli conclusivi nel dicembre scorso (intervallati da una tournée internazionale di due anni) si sono tenuti in un grande spazio tipo galleria, una ex sala per l’addestramento degli ufficiali nella Park Avenue Armory, un edificio militare dell’Ottocento usato oggi perlopiù per mostre o spettacoli su larga scala.
Sia nel 2009, sia nel dicembre scorso gli spettacoli sono stati concepiti come un Event, come Cunningham chiamava l’assemblaggio di estratti dei suoi lavori (a volte combinati con segmenti di nuova coreografia) presentati al di fuori del loro usuale contesto. All’Armory, questo collage di pezzi ha dato luogo a un "evento" (Event, appunto) in grande stile. Nel 2009, i danzatori si sono esibiti all’interno di più spazi delimitati sul pavimento e il pubblico si spostava agevolmente da uno spazio all’altro, a volte seguendo i danzatori stessi. Nonostante la morte recente di Cunningham in quel momento, il tono era allegro ed il tutto è parso una celebrazione della vita. All’interno di questi tre cerchi per l’esibizione, l’Event ha restituito l’essenza dell’opera di Cunningham: un misto di concetto e spensieratezza, disciplina e anarchia.
A Robert Swinston, il veterano della compagnia e ora Director of Choreography del Merce Cunningham Trust, va il merito di aver saputo incastrare magnificamente i vari segmenti di coreografia nello spazio della Armory, per entrambi gli Events.
Ma in dicembre, il tono era sobrio e formale. I danzatori non si sono esibiti sul pavimento della sala ma su tre piattaforme sopraelevate. L’impatto visivo era notevole, anche se due dei tre palcoscenici erano distanti alla vista degli spettatori. In una zona della sala, erano state appese le nuvole di palline bianche dell’artista visivo Daniel Arsham. Alcuni spettatori hanno assistito in piedi per quasi un’ora nelle gallerie alte, che permettevano di vedere dall’alto le tre scene, ma la maggior parte del pubblico sedeva vicino ad una delle piattaforme e difficilmente poteva vedere contemporaneamente tutte e tre. È stato dunque difficoltoso cogliere il rapporto coreografico tra i tre livelli dello spettacolo, sebbene fosse evidente che i danzatori passavano da una scena all’altra e che i gruppi su una delle scene contrastavano con gli assoli dell’altra.
Swinston ha così creato un tipico esercizio cunninghamiano di percezione e simultaneità, magnificamente valorizzato da suonatori di trombone e tromba collocati nell’alto tutt’intorno alla sala; in basso, su un lato, strumenti elettronici e no erano impegnati nelle partiture dei compositori che a lungo collaborarono con Cunningham, Takehisa Kosugi, David Behrman, John King e Christian Wolff.
Ma diversamente da quello del 2009, quest’ultimo Event è parso meno originale, meno audace, più attento a riprodurre una certa "formula". Molti dei concetti che si associano all’opera di Cunningham erano comunque presenti: la sua inclinazione per ciò che non è lineare, la sua ricerca del molteplice e della duttilità, la componente a-logica e sorprendente della coreografia (dovuta spesso a procedimenti aleatori). Richiamati dalla grande pubblicità che ha annunciato quest’ultima apparizione della compagnia, gli spettatori nuovi a Cunningham sono parsi stupefatti, proprio come il pubblico di cinquant’anni fa.
Anche se non ha voluto che la sua compagnia continuasse ad esistere, Cunningham non si è però opposto a che i suoi lavori vengano danzati da altre compagnie e da allievi non formati nella sua scuola. La scuola di Cunningham sarà chiusa ma il Trust continuerà a organizzare classi di tecnica Cunningham e workshops. Manderà i danzatori di Cunningham a rimontare i suoi lavori nei dipartimenti di danza delle università americane e per altre compagnie. E c’è già molto interesse. Benjamin Millepied ha infatti già richiesto un lavoro di Cunningham per la sua futura compagnia a Los Angeles. Ma quale sarà il risultato in scena?
Cunningham è stato imitato dai giovani coreografi per anni (specie in Francia). Ma ora non è più così e nessuno getta in aria la monetina oggi per decidere quale direzione prendere. Ma al di là del suo metodo, Cunningham ci ha insegnato a guardare alla danza in un modo nuovo. Alla fine, ha lavorato nel suo splendido isolamento, fedele a se stesso. Possiamo preservare il suo repertorio ma non il tratto unico della sua creatività.
Anna Kisselgoff

(Ballet2000 Italia n°227 – Febbraio 2012)