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Jirí Kylián, poeta della danza

Nonostante un graduale e sereno ritiro dalla creazione, Jirí Kylián resta uno dei più grandi e più influenti coreografi del nostro tempo. Una lunga carriera ha portato i suoi lavori in teatri e compagnie di tutto il mondo, facendoli amare per la chiarezza, la qualità musicale e per una poesia che percorre i suoi balletti più “astratti” come quelli su grandi temi

di Elisa Guzzo Vaccarino

Jirí Kylián è coreografo. Basterebbe questa definizione nuda e cruda, per farne un caso quasi raro nel tempo presente.
È coreografo nel senso più proprio, di architetto del corpo in movimento, nel tempo e nello spazio, nel suono e nella musica.
È anche drammaturgo in proprio, altra rarità ai nostri giorni, nel senso che costruisce da sé la logica interna, il tessuto e il disegno dei suoi balletti sulla base di una partitura di movimento-passi-gesti coerente, ben disegnata, ben pensata, ben danzata. Firma quindi l’idea sorgiva e la sua realizzazione.
I suoi danzatori annegano la tecnica in una fluidità “organica” che la fa dimenticare in favore del senso del meraviglioso, di una naturalezza incantatrice.

Il bello non va di moda tra gli artisti di generazioni seguenti a quella dei grandi settantenni come Kylián, ma resta il fatto che accanto alle ricerche, alle sperimentazioni, alle prove a-disciplinari che sono necessarie ai giovani creativi in questa fase storica, c’è bisogno di “opere” ripetibili e trasmissibili.
Nel caso di Jiøí Kylián è così e poco importa se le sue opere siano più o meno narrative – mai in modo piatto e diretto, comunque – o “concertanti”, sempre in dialogo entusiasmante con la musica e non adagiate su di essa; ma quel che conta è il piacere che sanno dare a chi danza e a chi guarda.

Balletto dell'Opera di Parigi - Alessio Carbone, Dorothee Gilbert, Alice Renavand: "Bella Figura" c. Jiri Kylian (ph. Ann Ray)


L’estetica del “brutto”, nel senso migliore del termine, quella ad esempio che è stata attribuita al Tanztheater di Pina Bausch, gli è estranea. Kylián non rappresenta le brutture dell’anima, che esorcizza con il suo umanesimo cosmopolita per combatterle, per superarle.
Una vita avventurosa, la sua, con la fuga dalla Cecoslovacchia natale invasa dalla Russia sovietica, l’approdo nella swinging London, poi il capitolo fondamentale come danzatore nel fervente Balletto di Stoccarda di John Cranko, dove militavano anche John Neumeier e William Forsythe, la scoperta della danza aborigena australiana atavica, l’insediamento in Olanda, l’energia e il carattere per dirigere tre compagnie, Nederlands Dans Theater 1, e junior 2 e senior 3, quest’ultima la più innovativa, per gli “anziani”.
E via via le richieste delle sue opere nei teatri più prestigiosi del mondo – Bella Figura del 1996, per fare un solo esempio, è stata messa in scena in più di 50 compagnie – che punteggiano una biografia certo non ordinaria, tra gioie e dolori, vissuti con una sensibilità agrodolce, con serietà e con humour, e con una grande attenzione ai problemi degli abitanti della terra, afflitta da tante pene e sempre in lotta per la vita e l’amore.
Da ultimo, lasciata nel 2009 la guida diretta del NDT, Jirí Kylián si dedica ai progetti che gli stanno a cuore, soprattutto il cinema, guardando a quello muto e a quello classico d’antan, comiche comprese: Car Men con i seniores del NDT3, ambientato in una miniera della Repubblica Ceca (regia di Boris Paval Conen nel 2006); East Shadow realizzato in Giappone, paese molto amato per la purezza del suo gusto artistico, e dedicato alle vittime dello tsunami; e ancora Between Entrance and Exit (2013), Schwartzfahrer (insieme con Jan Malir, 2014), Free Fall (2016), Scalamare, girato ad Ancona presso il Monumento ai Caduti (2017).
Saper condurre il proprio viaggio personale e pubblico è un’arte: Kylián è la dimostrazione che, guardandosi da egocentrismi e autoreferenzialità eccessivi, si possono fare delle scelte accorte e fruttuose, maturando su un cammino di saggezza.
È rimasto fedele ai suoi collaboratori e partners, danzatori, costumisti, scenografi, mentre sviluppava un percorso tra musiche sempre diverse, quella del suo compatriota Leos Janácek agli inizi (Sinfonietta), quella di Igor Stravinsky (Noces), quella di Toru Takemitsu (Kaguyahime), quella barocca (Bella Figura), quella atmosferica di Claude Debussy (Silent Cries, che un Après-midi d’un Faune per danzatrice dietro una grande lastra di vetro, la prediletta Sabine Kupferberg, “l’emozione in persona”), quella di Mozart (Sechs Tänze, Petite Mort, Birthday), quella moderna di Steve Reich e Anton Webern per i balletti corti della serie Black and White; e Bach, immancabile, per Sarabande, appena riproposto dall’Aterballetto.
Sono un centinaio i suoi lavori, tra cui, nella fase dopo il 2000 spiccano quelli più recenti, con una veste decisamente contemporanea nelle luci e nella messa in scena: Sleepless, Tar and Feathers, Gods and Dogs, tutti su musica di Dirk Haubrich (da Mozart), e Toss of a Dice sempre su Haubrich.
Alcune creazioni per l’Opéra di Parigi (Doux Mensonges, 1999, Il faut qu’une porte, 2004), in Giappone (When Time Takes Time con Saitama Arts Theatre e il NDT 3, Blackbird, Far too Close), la collaborazione con i Ballets de Monte-Carlo (il video Oskar per Jean-Christophe Maillot e Bernice Coppieters e la ripresa di Chapeau su Prince ispirato ai cappellini colorati della Regina d’Olanda), completano il profilo attualizzato delle attività del coreografo, appena diventato Accademico di Francia con giusti festeggiamenti.
Dopo aver fatto un passo indietro rispetto a onori ed oneri della direzione del NDT, oggi Kylián seleziona i suoi impegni e cura personalmente il suo sito, da visitare per sapere tutto sui suoi balletti e films e sulla sua fondazione nata nel 1988, di vocazione transnazionale con una sede a Praga e con compiti di vigilanza sulla qualità dei suoi lavori nel mondo.
Jirí Kylián sceglie a cosa dedicare il suo tempo, nella pienezza degli obiettivi raggiunti e nel desiderio di libertà d’azione guadagnata nell’età forte.
Anche l’amico Mats Ek e il collega William Forsythe hanno fatto la stessa scelta, di svincolarsi dal peso di guidare una compagnia, creando coreografie e al tempo stesso badando a tutti i fattori del caso, dal budget, alla produzione, alla distribuzione, ai rapporti con i danzatori, cioè al fattore tanto delicato delle relazioni professionali e inter-umane.
Come Forsythe ha lasciato in mano al “forsythiano” Jacopo Godani il suo gruppo di Dresda/Francoforte, così Kylián ha lasciato il NDT alla coppia Paul Lightfoot-Sol León, formatisi nella compagnia.
Inoltre l’impronta Kylián ha marcato il suo magnifico danzatore Nacho Duato – lo riconosce volentieri lui stesso – soprattutto nelle prime coreografie su musica della sua Spagna.
Ma Kylián è unico nel suo genere, one of a kind appunto.
Il suo tocco è seducente, cosa sgradita ai cultori attuali dell’anti-danza. Ma la seduttività non è un’astuzia, è un dono naturale. È classico, ma non solo. È stato considerato maestro di “balletto moderno”, con tocchi di carattere, ma è una classificazione riduttiva per uno stile individuale e peculiare, dove si sciolgono più componenti miscelate nella sua arte coreografica.
La danza di Jirí Kylián vibra e vola morbidamente nell’aria, respira di uno squisito eros onnipresente sottotraccia, lancia richiami espressivi nel corpo e nel volto degli interpreti; è ben lontana dall’essere concreta, realistica, ma certo non è neppure “astratta”, se mai fosse dato di esserlo ai danzatori sul palcoscenico.
Neppure i lavori di Merce Cunningham, pur deliberatamente anti-narrativi, lo sono.
Il portfolio “vendibile” di opere firmato da Kylián ne garantisce la presenza viva sulle scene più titolate, tra le quali quella dell’Opera di Lione con la compagnia di casa, in una residenza triennale come artista associato, che ha arricchito il repertorio con: One of a Kind, su musica che vanno da Gesualdo da Venosa a John Cage nel 2017, Falling Angels su Steve Reich, No More Play e Bella figura nel 2018, ripreso accanto a Wings of Wax e Gods and Dogs nel 2019.
La danza di Kylián scivola nella musica, si avvolge in essa, non poggia mai prosaicamente su tempi, ritmi e cadenze, reagendo alle note e ai suoni nel loro farsi e non dopo averli uditi.
Questa vicinanza tra danza e musica senza soggezioni reciproche regala agli spettatori-ascoltatori una grazia distillata che – nei corpi guizzanti dei danzatori, per lo più ben visibili nei costumi essenziali creati dalla complice Joke Visser – risalta come la più penetrante delle doti.
Uomini e donne sono messi ugualmente in valore, una condizione non frequente tra i grandi coreografi “puri” (al di là dei ruoli maschili e femminili dei balletti romanzati) che storicamente hanno mostrato preferenze, ad esempio Balanchine per le ballerine, Béjart per i danzatori.
Un’altra motivazione indubitabile per ammirare Jirí Kylián e la sua opera sta nella sua fedeltà a se stesso, nell’aderenza onesta che dimostra alla sua meravigliosamente sottile e discreta consapevolezza di sé.
Sa di aver fatto storia? Se lo sa, non se ne vanta.
Tutto questo lo rende un elegante modello di comportamento schietto e autentico, il più ragionevole e ispirato, alla prova provata dei fatti sul filo dei decenni, nella persistenza della sua “sana follia” d’artista.