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Il Cigno dei Laghi

Il Cigno dei Laghi

di Alfio Agostini - Il "Lago dei Cigni" è il balletto più enigmatico del grande repertorio. O almeno, tale lo hanno voluto vedere i molti coreografi che, fino ad oggi, vi hanno messo mano per "rivelarne" i significati nascosti; talora solo reinventando l’ambientazione e il libretto pur conservando la sostanza coreografica di Petipa e Ivanov; talaltra creando un balletto completamente nuovo. Così hanno fatto tra gli altri Mats Ek o, con un successo straordinario, Matthew Bourne.
Non si può parlare seriamente, oggi, dei balletti del repertorio classico, senza trovarsi obbligati a liberare il terreno dagli errori - direi teorici, se non fosse dir troppo - e dalle idiozìe diffuse dalle contemporanee critichesse. Genìa ottusa di fronte ai valori propri della danza, esse vedono un balletto come le mucche guardano passare un treno (la graziosa similitudine è di André Levinson): non sapendo che cosa sia e a che cosa serva, esse mucche pensano, chissà, che sia un qualcosa per far rumore. E di questo discutono, forse, nelle loro bovine adunanze.
Allo stesso modo esse critichesse, non vedendo in un balletto quel che conta, la danza – o sembrando loro, non intendendola, troppo poca cosa – vi cercano altro: la trama letteraria, la "drammaturgìa" (come amano dire), la musica (ma è errore di generazioni passate, quando di danza scrivevano i critici musicali; le critichesse non lo commettono perché non sono distratte da una cultura musicale che non hanno), le scene e i costumi, caso mai le qualità fisiche o "espressive" dei danzatori. La danza, se pur si degnano di accennarvi, è per loro un accessorio.

E qui vengo finalmente al tema. Che è il Lago dei cigni e la confusione nella quale si parla e si scrive delle sue molte "versioni", classiche o contemporanee. Se non si ha ben chiaro il concetto che un balletto è un’opera di danza, che "consiste" nella danza, così come un’opera lirica "consiste" nella musica e nel canto, si potrà anche credere che il Lago di Petipa-Ivanov, il Lago di Neumeier e il Lago di Mats Ek siano diverse versioni della stesso balletto; o al massimo, che quello di Ek sia una "rilettura" di quello di Petipa. Sciocchezze che possono circolare soltanto nell’ambito intellettualmente sottosviluppato della critica di danza. Nemmeno il più sprovveduto dei melomani parlerebbe, che so, della Manon Lescaut di Puccini come se fosse una "rilettura" della Manon di Massenet, o dell’Otello di Verdi come di una "versione" di quello di Rossini. È infatti per tutti chiaro che, se nell’opera quel che conta è la musica e se la musica è diversa, si tratta di due opere diverse, le quali varranno diversamente a seconda dei loro diversi valori musicali. Che in un balletto quel che conta è la coreografia e non la storiella, è concetto elementare ma ancora lontano dall’essere inteso e sottinteso.
E se il Lago dei Cigni come opera d’arte è la sua coreografia, cioé la sua danza, è chiaro che un’altra coreografia (quand’anche avesse lo stesso titolo, la stessa musica e perfino lo stesso o simile soggetto narrativo) sarà un altro balletto, cioé un’altra e autonoma creazione. Sono egualmente insipienti tanto le critichesse che per partito preso difendono quelle che esse chiamano "riletture dei classici" compiute dai loro prediletti autori contemporanei (come se il Lago di Petipa e Ivanov non fosse abbastanza bello e si dovesse rifarlo); quanto i "puristi" che si scandalizzano se Matthew Bourne prende titolo e musica e modifica il soggetto per creare una coreografia del tutto moderna e del tutto sua (come se con ciò volesse o potesse guastare quella cosiddetta "classica", o come se chissà quale peccato di dissacrazione impedisse di fare un bel balletto).

Insomma, esistono balletti diversi, di diversi autori e diverse epoche, che s’intitolano Il Lago dei Cigni su musica di Ciaikovsky e su soggetti che derivano, in vari modi, dallo stesso libretto ottocentesco. Naturalmente, lo stesso vale per tutti gli altri titoli del repertorio; qui parliamo del Lago perchè così abbiamo deciso e perché, in verità, il suo soggetto misterioso e simbolico si è prestato più spesso e meglio di altri a stimolare la fantasia dei coreografi.
Dunque, tenendo fermi i criteri, peraltro molto elementari, fin qui esposti, possiamo mettere ordine nei diversi Laghi sulla scena attuale della danza dividendoli in tre categorie, che rispondono in realtà a tre intenzioni e azioni coreografiche molto diverse tra loro.

La prima e più ovvia, riguarda le riproduzioni del Lago dei cigni "classico". Il capolavoro di riferimento è quello di Marius Petipa e Lev Ivanov del 1895; e non perché sia storicamente il primo. Difatti non lo è. Il primo era del 1877, a Mosca, e la coreografia di tale Julius Reisinger, probabilmente mediocre, ne decretò l’insuccesso (a conferma del nostro criterio per cui un balletto è la sua coreografia e da questa dipende il suo valore). Né sorte migliore ebbe una seconda produzione firmata da Joseph Hansen nel 1880. Finché, la coreografia di Petipa e Ivanov a San Pietroburgo ebbe un trionfo e questo balletto iniziò la sua lunga carriera di classico del repertorio. Carriera di base russa, ma complicata, che qui non è il caso di ripercorrere. La danza non si scrive (o non si scriveva, se non raramente e vagamente) e la coreografia di un balletto dell’Ottocento arriva ai nostri giorni come risultato di una serie – spesso nemmeno continua – di riprese, riproduzioni, adattamenti di gusto, innovazioni tecniche, attraverso generazioni di maestri e interpreti talvolta mossi da intenzioni di fedeltà e talvolta no; al punto che si può parlare (come ha ben detto una volta Vittoria Ottolenghi) di "capolavori per accumulazione". La coreografia del Lago che vediamo oggi si può dunque dire "di Petipa e Ivanov e dei loro ricostruttori lungo un secolo".
Così, le differenze di qualità delle numerose produzioni del Lago dei cigni che possiamo vedere oggi nel mondo dipendono dalla competenza, dalla cultura coreografica, dal gusto stilistico dei coreografi-ripetitori che le hanno realizzate. Tra le più attendibili, prima di tutte ovviamente vi è quella del Kirov Ballet, la compagnia del Teatro Mariynsky di San Pietroburgo dove il balletto nacque e dove la tradizione del repertorio di Petipa è stata conservata meglio e con più continuità (per non parlare della qualità dei danzatori). Anche il Lago del Royal Ballet di Londra, ormai lontano discendente della prima e fondamentale messa in scena in Europa, fatta da Nicholas Sergheyev nel 1934, ha i suoi titoli di autenticità. All’Opéra di Parigi la versione più familiare è quella di Vladimir Bourmeister, rappresentata moltissime volte dal 1960 ad oggi (anche altrove nel mondo; in Italia, l’ha ripresa recentemente la compagnia Maggiodanza di Firenze), che tuttavia in diversi punti oggi non è più convincente. Alla Scala di Milano si è danzata per molti anni la versione di John Field, di stampo russo-inglese. Oltreoceano, l’American Ballet Theatre ha sempre avuto un Lago di buona tradizione, ritoccato giusto ora dall’attuale direttore Kevin McKenzie. Alicia Alonso ha prodotto (e danzato) per il suo Balletto di Cuba un Lago dei Cigni autorevole. E interrompo qui quello che sarebbe un vero giro del mondo.

Appartengono invece ad una seconda categoria i rifacimenti, o rielaborazioni del Lago dei Cigni classico, ferma restando tutta o in parte la base coreografica che, nel senso dianzi chiarito, chiameremo "tradizionale". L’intervento del coreografo modifica quindi di solito la narrazione, l’ambientazione della vicenda, il carattere dei personaggi per esplicitare certi contenuti simbolici o psicologici o per inventarne di nuovi; le novità coreografiche riguardano la pantomima e alcune danze secondarie, mentre i momenti famosi (il secondo atto coi Cigni, il passo a due del terzo) sono sostanzialmente conservati.
È purtroppo in questo genere di operazione che si cimentano spesso gli ex danzatori senza talento coreografico, a cui nessuno chiederebbe un balletto originale, ma che d’altra parte non vogliono limitarsi a riprodurre un balletto classico. Così, inventano varianti della vicenda, l’ambientano in un’epoca o in un luogo diversi, con scene e costumi di fantasia, pasticciano un po’ la coreografia, rifanno qualche danza (peggiorandola, data l’improbabilità di migliorare il capolavoro originale), ed hanno così il nome in cartellone (e il compenso) come coreografi autori.
Dei molti di questo genere che affliggono la scene di danza, il Lago più acquitrinoso che io abbia mai visto è quello di Yuri Vámos in repertorio a Düsseldorf, ripreso l’anno scorso anche all’Opera di Nizza. A partire dal prologo, in cui il principe bambino (e il pubblico) vedono la regina madre e il precettore che fanno l’amore senza mezzi termini, fino all’ultimo atto in cui questo principe nevrotico uccide il Cigno – e il cadavere cade in scena sotto forma di una specie di pollastro impagliato – c’è una tal serie di scemenze da lasciare allibiti. Sulle prime, sembra uno scherzo; ma quando si capisce che no, che il coreografo aveva intenzioni molto serie e drammatiche, tutta la faccenda diventa di una comicità surreale.
Ben più rispettabile è invece, e molta fortuna ha avuto in mezzo mondo, Il lago dei cigni di Rudolf Nureyev, varie volte rielaborato fino alla versione definitiva ancor oggi in repertorio all’Opéra di Parigi o alla Scala di Milano. Nureyev rivede essenzialmente il ruolo del protagonista maschile ed amplia quello di Rothbart (che egli stesso danzava, negli ultimi anni), e rende lo spettacolo nell’insieme più elegante e moderno; i suoi apporti propriamente coreografici sono come sempre antimusicali e infelici, ma non pregiudicano troppo la sostanza del balletto che egli aveva ben conosciuto in giovinezza, al Kirov.
Il capolavoro del genere è tuttavia Illusionen - wie Schwanensee (letteralmente "Illusioni - come il Lago dei Cigni") di John Neumeier per il Balletto di Amburgo, che va posto in questa categoria solo perché conserva la coreografia classica nell’"atto bianco", ma che forse andrebbe più correttamente considerato un balletto originale. Rimando alla recensione, in queste pagine, della recente rappresentazione a Parigi.
Il terzo gruppo della nostra suddivisione – in pratica non così nettamente definita, ma per niente affatto arbitraria – è formato dalle creazioni originali che all’antico Lago dei cigni s’ispirano, conservandone la musica e il titolo, ma la cui coreografia è opera del tutto nuova e personale del loro autore di oggi. Dunque, come abbiamo detto, dal punto di vista della danza, è del tutto improprio considerarle nuove versioni o "riletture" dello stesso balletto: sono infatti in assoluto nuovi balletti.
Ricordiamo appena un Lac des Cygnes post-modern creato al festival di Aix-en-Provence (Francia) dal coreografo americano Andy Degroat nel 1982, o quello recente di Bertand d’At per il Ballet du Rhin (v. BallettoOggi nº 119) e citiamo i tre più importanti.
Quello di Mats Ek per il Cullberg Ballet, Svansjön in svedese, pur non essendo considerato il capolavoro del suo autore, è il più affascinante e personale sul piano propriamente coreografico, con quel gioco di sintesi poetica tra citazione non letterale del classico e creazione pura, che è caratteristica impareggiabile di Mats Ek.
Dal 1995 ad oggi si è imposto con successo straordinario in tutto il mondo lo Swan Lake di Matthew Bourne, cui abbiamo dedicato la nostra copertina e di cui si parla in queste pagine.
Infine, Le Lac des cygnes et ses maléfices, del 1998 (v. BallettoOggi nº 111) ha declinato in altro modo l’idea dei cigni al maschile, nella dimensione coreografica classico-moderna di Roland Petit ma soprattutto nella sua immaginazione teatrale in cui il dramma è sempre soffuso di sensuale ironìa.
Alfio Agostini

(BallettoOggi n°121 – Marzo/Aprile 2000)

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