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Con questo coreo-regista star nel panorama contemporaneo, i confini tra danza e teatro, tra coreografia e regìa, tra movimento puro e visione, si sono fusi al sole della sua Grecia. Richiesto da compagnie e da festivals di tutto il mondo, Dimitris Papaioannou è approdato con una creazione perfino sull’improbabile scoglio del Tanztheater Wuppertal, votato al mito di Pina Bausch
Probabilmente è il greco Dimitris Papaioannou il coreografo-regista più appassionante dell’odierno teatro-danza internazionale. Nel corso delle ultime stagioni teatrali quest’uomo bruno e fosco, dotato di un tenebroso charme mediterraneo, è divenuto un artista richiesto e acclamato forse più di qualsiasi altro autore nell’ambito di programmazioni orientate verso gli spettacoli di danza contemporanea e verso i viaggi che percorrono il confine fra i linguaggi del teatro e della danza. Luoghi quali il Festival di Avignone, il Théâtre de la Ville di Parigi, lo Holland Festival di Amsterdam, il Grec Festival di Barcellona, la vetrina londinese Dance Umbrella e il Watermill Center di New York diretto dal regista americano Bob Wilson, grande stimolatore di nuovi talenti.
Che piaccia o no, che risulti inquietante o favoloso, che sia un coreografo oppure “solo” un artista visivo, tendente a modellare imponenti affreschi mobili con gli strumenti dei corpi dei suoi danzatori, come se fossero materiali plastici e iconografici, è innegabile che Papaioannou sia un fenomeno di rilievo. Certamente è estraneo alla dimensione del balletto. E il suo interesse è proiettato, più che sulla messa a punto di un linguaggio coreografico (vocazione che di fatto non gli appartiene), sullo sviluppo di un codice visuale molto originale che fa dei fisici e dei gesti il serbatoio delle composizioni, corrispondenti a “pitture dinamiche”. In lui dominano il senso del sacro, il bagaglio della cultura mitologica e un respiro narrativo che pesca a fondo nei paesaggi della sua millenaria civiltà, coi suoi splendori e le sue crisi.
E. Liatsos, I. Michos, E. Randou: "The Great Tamer", c. Dimitris_Papaioannou (ph. Julian Mommert)
Sospinto da un estro poetico e visionario d’indubbia potenza metaforica, quest’artista nato ad Atene nel 1964 e già in carriera da un trentennio ha una fisionomia interdisciplinare e non facilmente catalogabile. Ama la danza e il teatro, certo. Ma parallelamente indaga le vie della pittura, della scultura, del cinema e del fumetto, e il suo background eterogeneo testimonia queste esplorazioni. Introdotto alla pittura da Yannis Tsarouchis, icona dell’arte greca moderna, Papaioannou ha frequentato l’Accademia di Belle Arti della sua città prima di diventare un performer della scena ateniese underground e un attore di vena comico-sperimentale. Lanciatosi nell’apprendimento della danza solo dopo quelle esperienze (ma si dichiara totalmente privo di una formazione accademica), scopre con entusiasmo il linguaggio del Butoh, la tragica danza giapponese di fine Novecento (tragica perché contorta e sofferta, radicata nell’ideologia funerea del Giappone post-atomico). In questo periodo Dimitris fa diventare uno squat ateniese un piccolo teatro nel quale mette in scena le proprie performances, e il suo lavoro viene notato da Ellen Stewart del Café La MaMa di New York, in viaggio in Grecia insieme al danzatore di Butoh Min Tanaka. È la Stewart a invitarlo negli Stati Uniti, dove Papaioannou studia la tecnica di Erick Hawkins ed entra in contatto col santone delle avanguardie teatrali Bob Wilson, il quale lo assume per qualche tempo come suo assistente.
Una volta tornato in patria, Papaioannou fonda l’Edafos Dance Theatre, gruppo con cui lavorerà dal 1986 fino al 2002, ed è soprattutto durante questa fase che elabora il suo segno intenso, vigoroso e sempre più personale. Dei suoi spettacoli è l’artefice assoluto: ne firma l’ambientazione, i costumi, i trucchi, i movimenti e le luci. Da pittore allucinato e trasformista, è come se avesse scelto di depositare non tanto sulla tela, quanto sul palcoscenico, le ricchezze del proprio universo immaginifico. Che si dimostra cupo, evocativo e onirico. Denso di rimandi ai miti classici, e in tal senso ricolmo di passato remoto. Ma anche pieno del nostro presente, legato alle installazioni artistiche d’inizio millennio e sensibile all’utilizzo della multimedialità.
Nel 2004 il peculiare coreografo conquista una platea di 72mila spettatori grazie alla spettacolare orchestrazione delle cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi di Atene, e agli anni successivi risalgono i debutti dei suoi pezzi più significativi. Nel 2006 va in scena “2” (da lui definito una “dissezione della mente maschile”), in cui appare ancora influenzato dall’estetica di Bob Wilson. Seguono Still Life, ispirato al mito di Sisifo, e l’icastico duetto maschile Primal Matter, dove esplode una furia di sovvertimenti anatomici che rivela la sua idea che il corpo sia un campo di battaglia e una materia da invadere per frammentarla, manipolarla e ricomporla dentro atmosfere perturbanti di oscillazione fra violenza e morbidezza, docilità e controllo, fusione amorosa e impatto distruttivo.
Infine The Great Tamer, cioè “Il grande domatore”, è un poderoso pezzo sul tempo (in quanto “domatore”, appunto, di ogni azione umana) visto l’anno scorso al Napoli Teatro Festival e a Montpellier Danse e inserito quest’anno nel programma del festival Torinodanza (in settembre). Qui i corpi degli interpreti divengono delle magiche entità che sbocciano dalle assi nere di un palcoscenico accuratamente dissestato, provocando un flusso di sorprendenti illusionismi. Nelle relazioni fra i danzatori pare scatenarsi una prospettiva dell’amore intesa come fame cannibalesca delle membra altrui. Abbondano le citazioni pittoriche, dalla Lezione di anatomia di Rembrandt, riprodotta come una vera e propria animazione danzata, fino ai guizzi estratti con impressionante gusto figurativo dai quadri di El Greco, Goya e Botticelli. Inoltre è esplicito l’omaggio a Yannis Kounellis e alla sua “arte povera”, in un continuo intreccio di elementi di natura (rami, radici e altro). Sul tutto spicca un’inclinazione polimorfica che suscita associazioni con i trasformismi animaleschi e la disturbante crudeltà caratterizzanti il cinema del greco Yorgos Lanthimos, autore di film quali The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro.
L’ultima creazione di Papaioannou è stata Seit sie, da lui dedicata quest’anno, nel ruolo di coreografo-ospite, alla compagnia del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch (vedi recensione in queste pagine). Un tributo che riflette bene quanto le ombre e le luci della grande coreografa tedesca, scomparsa nel 2009, siano state determinanti per lo sviluppo espressivo del geniale Dimitris. Un artista che non ha nulla dell’epigono, ma che è solidamente padrone del suo mondo.
Leonetta Bentivoglio