Articoli tratti da Ballet2000

La danza spagnola, anzi le danze spagnole

Ci sono tre grandi generi di danza in Spagna: la danza spagnola vera e propria nelle sue molte varietà (compresa la raffinata Escuela Bolera di origine sette-ottocentesca e il flamenco teatrale), il balletto classico e la danza contemporanea d’àmbito europeo. Del primo genere, quello delle “danze spagnole”, è depositario e interprete autentico il Ballet Nacional de España. Roger Salas ne osserva lo stato attuale valutando un recente programma in omaggio alla figura storica di Antonio Ruiz Soler

La danza spagnola si trova oggi in linea con la tendenza ormai “globale” a recuperare il proprio patrimonio del passato e il repertorio storico. Il Ballet Nacional de España (che è la prestigiosa compagnia nazionale di danze spagnole, da non confondere con la Compañía Nacional de Danza, oggi diretta da José Carlos Martínez e di “normale” profilo classico-moderno internazionale) non è indifferente a questa corrente estetica. Fin dagli anni della direzione artistica di Aida Gómez (1998-2001), questa corrente vi si è rafforzata nel Ballet Nacional ed è passata per fasi di maggiore o minore presenza e fortuna.
Anzitutto va chiarito che in Spagna ci sono tre grandi “generi” di danza d’arte che costituiscono poi l’offerta reale di spettacoli: il balletto accademico (in tutte le sue diramazioni, dal classico-romantico a quello più attuale); la danza contemporanea (che con tutte le sue varianti rientra nel quadro europeo della danza e teatro-danza contemporanei) e il “balletto spagnolo” o danza spagnola propriamente detta, che riunisce tutte le possibilità e gli stili che vanno dalla Escuela Bolera (che nasce nel XVIII secolo e che ha una storia parallela e molto simile a quella del balletto accademico) alle danze stilizzate (frutto dell’assimilazione e dell’adattamento del variegato folclore spagnolo) al flamenco (che è parte essenziale della danza spagnola, ha contaminato tutti gli altri stili e ha una sua forma teatrale moderna).
La grande ballerina, maestra e coreografa Mariemma (che danzò e creò alcuni lavori anche al Teatro alla Scala), sosteneva una tesi che ha le sue ragioni secondo cui la danza spagnola era una sola con varie ramificazioni, e che separarle o considerarle espressioni estranee l’una dall’altra era un errore di “vera incultura” che metteva in grave pericolo la sua conservazione e il suo sviluppo.
Il problema della danza spagnola è sempre stato la stabilizzazione e la corretta conservazione del proprio repertorio.
Le compagnie di carattere nazionale che hanno preceduto il Ballet Nacional de España sono state il Ballet Antología e il Ballet Nacional Festivales de España, in cui erano molto presenti le “danze stilizzate” e il cosiddetto “classico spagnolo”, un genere corale e complesso, adatto ai balletti con un soggetto.
Le compagnie nazionali spagnole sono istituzioni relativamente giovani, che arrivano al mezzo secolo di vita; sicché si tratta di un tempo troppo breve per poter parlare seriamente della formazione di una “scuola” (in senso artistico) e di un repertorio in sé. Ma è pur vero che non sempre tutto è stato fatto nel modo migliore da quando nel 1978 fu fondato il Ballet Nacional Español. Il suo primo direttore artistico, che fu Antonio Gades, chiamò subito alcune personalità maggiori della danza spagnola degli anni precedenti: Pilar López, Mariemma, Antonio Ruiz Soler, Juan Quintero e Rafael Aguilar, tra gli altri.
Non possiamo dire che l’attuale direttore del Ballet Nacional de España, Antonio Najarro (41 anni, nominato nel 2011) goda dell’appoggio totale della compagnia. Ci sono stati di recente gravi conflitti, come non si ricordavano dai tempi in cui María de Ávila diresse con giusta mano di ferro le due compagnie statali spagnole (Ballet Nacional de España e Ballet Nacional Clásico), riunite dal 1983 all’86 appunto sotto un’unica direzione artistica.
Il nuovo programma di coreografie storiche di Antonio Ruiz Soler (1921-1996, detto il “Grande Antonio”), presentato dalla compagnia come un omaggio a questo celeberrimo danzatore e creatore di danza spagnola, ha riscosso un notevole apprezzamento da parte del pubblico e della critica, per quanto sia ancora lontano dalla vera eccellenza. Lo spettacolo, a Madrid tra giugno e luglio scorsi, doveva essere il momento culminante del mandato di Antonio Najarro alla guida del Ballet Nacional; tuttavia ha finito per trasformarsi in un momento increscioso con scioperi, cancellazioni di spettacoli, manifestazioni sindacali davanti al Teatro de La Zarzuela di Madrid, il che ha inciso in generale sulla qualità e la produttività artistica. Ai danzatori e tecnici del BNE non si poteva chiedere di più. Il Ministero della Cultura spagnolo ha risposto a tutti questi disordini prolungando di tre anni il contratto di Najarro alla direzione del BNE.
Le opere coreografiche che formavano la serata in questione, dello stesso Antonio Ruiz Soler o del suo repertorio, sono creazioni appartenenti a un patrimonio che è base e colonna portante del balletto spagnolo della nostra epoca, e meriterebbero un trattamento più chiaro ed equilibrato di quello che hanno ricevuto finora; sono l’abbecedario e l’origine di tutto quello che è stato creato successivamente in quasi tre quarti di secolo ed è per questo che gli storici della danza parlano della danza teatrale spagnola del XX secolo come di un’arte moderna, un’espressione delle arti contemporanee che comincia a nutrirsi di vita e a prendere forma insieme alle Avanguardie del ‘900.
Lo spettacolo visto al Teatro de La Zarzuela è stato innegabilmente un grande sforzo, ma non una riuscita totale. Secondo anche quanto espresso da maestri importanti, la compagnia conta oggi molti danzatori con un notevole talento, ma che avrebbero bisogno di lavorare maggiormente sullo stile autentico di quel che danzano.
I titoli in programma erano: Eritaña (musica di Isaac Albéniz, 1960); La taberna del toro (1956); Zapateado (musica di Pablo Sarasate, 1946); Fantasía galaica (musica di Ernesto Halffter, 1956); e El sombrero de tres picos (“Il tricorno”, musica di Manuel de Falla, 1958).
Quanto alla “taranta” della Taberna del toro, è stato alquanto bizzarro vedere questo frammento da solo, poiché pare fuori luogo, senza un nesso con le altre coreografie della serata. E nello specifico del più famoso Sombrero de tres picos vanno dette alcune cose essenziali. Antonio Ruiz Soler presentò una versione di questo balletto con scene di Manuel Muntañola al Teatro del Generalife di Granada con la partecipazione della celebre ballerina Rosita Segovia nel ruolo della Molinera, il 24 giugno 1958 e – come fece notare subito il critico musicale Antonio Fernández-Cid – dava l’idea che il compositore Manuel de Falla (morto in esilio in Argentina nel 1946) “avesse trovato la sua équipe ideale”, facendo riferimento al fatto che tutta questa équipe era spagnola. La versione tardiva dello stesso Antonio Ruiz Soler del 1981, che usava scene di Pablo Picasso, con il BNE fu la dimostrazione del potere di un’astuzia pubblicitaria che condannò all’ostracismo e all’oblio le scene originali di Muntañola e che creò una confusione accettata poi dai danzatori, dalla critica e dalla storia; infatti la scenografia di Picasso era stata ideata per un altro balletto molto diverso: quello di Léonide Massine per i Ballets Russes di Diaghilev, un esercizio riuscito di stilizzazione ballettistica delle arie spagnole, oggi ancora in repertorio.
La confusione è poi stata avallata da un altro coreografo e direttore del BNE, José Antonio Ruiz, che ha firmato una sua propria versione nel 2004, usando sempre le scene di Picasso.
Però, quando il Grande Antonio morì, fu vestito col mantello che Muntañola aveva creato espressamente per lui all’origine del Sombrero de tres picos.
Tornando al tema degli stili e della tecnica dei danzatori, va considerato che la formazione di un danzatore spagnolo del genere di cui stiamo parlando, integra nella danza spagnola la tecnica classico-accademica. Negli ultimi decenni è sempre stato così, per coerenza con l’idea del “ballerino completo”, come quello dell’Ottocento, capace di affrontare il repertorio del balletto classico e quello spagnolo. Probabilmente fu María de Ávila l’ultima grande rappresentante di questo tipo d’artista, quando era “prima ballerina” del Gran Teatro del Liceo di Barcellona negli anni ‘40 del Novecento.
Il concetto di “danzatore completo di danza spagnola” continua ad essere molto importante e decisivo quando si tratta della conservazione di un repertorio che è in sostanza creato e disegnato per questo tipo di interprete. Sono stati danzatori molto completi Aída Gómez e Joaquín Cortes; e, nella generazione attuale, Sergio Bernal, che corrisponde con le sue superbe doti naturali e di formazione a questo profilo ideale.

Roger Salas

BALLET2000 n° 263, dicembre 2016

-