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Il più famoso e influente coreografo russo ha attraversato epoche molto diverse, dalla prima Unione Sovietica alla Russia di oggi. Al Teatro Bolshoi di Mosca è stato ammirato, temuto e criticato. Ma la sua opera – ci spiega qui Roger Salas – fondata su principi granitici, è ancora viva, in Russia e fuori
di Roger Salas
Yuri Grigorovich è vivo e attivo, come la sua opera coreografica, in repertorio in compagnie di mezzo mondo. Come si è riferito nel numero scorso di BALLET2000, l’Opera di Monaco di Baviera e il Balletto delle Fiandre ad Anversa hanno ripreso recentemente Spartacus, il suo titolo più famoso (che l’anno prossimo varcherà il mezzo secolo dalla creazione).
Questo successo è una specie di premio universale alla sua tenacia e alla sua solidità granitica nel difendere il suo stile e la sua concezione di grande balletto narrativo fondato sul corpo di ballo come macchina precisa e strutturata al servizio di una visione sinfonica, eloquente e poderosa.
Molti suoi colleghi, e danzatori, e critici e storici del balletto, hanno trovato in più di sessant’anni il tempo di maledire Grigorovich in tutte le lingue, di bollarlo come tiranno dispotico del balletto del Bolshoi di Mosca. Sono leggendarie le guerre interne al teatro mosse contro di lui dal clan Messerer-Plissetsky e da quello Ulanova-Liepa-Vassiliev; gli stessi che lo amarono e festeggiarono il suo arrivo al Bolshoi nel 1964 (il primo cast del suo Fiore di Pietra vedeva Galina Ulanova e Maya Plissetskaya) chiesero poi la sua testa.
Personalmente, una decina di anni fa mi trovai a scrivere che «la crisi attuale di coreografi capaci di lavorare il grande repertorio e di accrescerlo, dovrebbe farci cambiare idea e rivalutare Grigorovich come ultimo campione del grande balletto accademico».
Ivan Vasiliev "Spartacus", c. Yuri Grigorovich
Quel tempo è arrivato e la realtà si è imposta in maniera diretta, esemplare e sorprendente.
Quando, pochi anni fa, Grigorovich venne a Positano (dove si svolge il premio di danza più antico del mondo) per ricevere il Premio alla Carriera, si mostrò più che ben disposto al dialogo, senza essere elusivo sui temi spinosi del passato; disse serenamente che tutti i conti erano saldati e che il “perdono” e la comprensione erano ormai reciproci. Ma trasmise l’idea che era lui il vincitore, soprattutto grazie al suo talento e al peso della sua opera. La lunga serie dei suoi successi passati si riafferma infatti nel presente e probabilmente nel futuro.
Yuri Nikolaievich Grigorovich nacque nel 1927 in quello che era stato un quartiere borghese di San Pietroburgo, divenuta ormai Leningrado, in una famiglia rispettata. Il giovane Yuri si formò umanamente e artisticamente in un’epoca convulsa e drammatica, nella dittatura di Stalin e negli anni della II Guerra Mondiale, quando le avanguardie artistiche furono represse con durezza, nell’affermazione del “realismo socialista”. Finita la guerra nel 1946, cominciò la ricostruzione di una vita civile, con teatri, orchestre e compagnie di balletto; in quell’anno Grigorovich si diplomò come danzatore alla “scuola coreografica di Leningrado”; suoi maestri furono Boris Shavrov (amico del giovane e inquieto Gheorghi Balanchivadze, divenuto poi Balanchine) e Alexander Pisarev, ma lavorò anche col famoso Alexander Pushkin. E già alla scuola perseguitava le sue compagne e compagni perché gli servissero da interpreti delle sue prime creazioni. In coreografia, fu influenzato soprattutto da Fedor Lopukhov (per i movimenti corali) mentre lo storico Yuri Slominsky lo guidò a formarsi una vasta cultura.
Come il giovane Petipa un secolo prima, il giovane Grigorovich aveva grande rispetto per i suoi maggiori predecessori, ma senza ritegno o timore quando si trattava di creare nuove versioni di vecchi titoli per aumentare e arricchire la propria opera.
Nel lavoro creativo di Grigorovich convivono infatti due grandi linee: i nuovi balletti di sua completa invenzione e le ricostruzioni dei titoli del grande repertorio cosiddetto classico. Anzitutto la trilogia canonica di Ciaikovsky e Petipa-Ivanov: La Bella addormentata (1963 e ‘73), Lo Schiaccianoci (1966) e Il lago dei cigni (1969). Da notare che nel 1968 il prolifico coreografo trovò il tempo di creare il suo capolavoro Spartacus, divenuto la bandiera del balletto del Bolshoi; e che La Bella invece durò 10 anni tra la prima e la definitiva versione, cosa che oggi sembra inconcepibile: 10 anni di esperimenti, prove, analisi e revisioni per perfezionare un balletto già creato! – a dimostrazione che Yuri Grigorovich è forse l’ultimo esempio di una maniera “enciclopedica” e al tempo stesso “dinamica” di affrontare il repertorio inteso come un organismo vivo e in evoluzione.
Il suo debutto coreografico fu al Kirov di Leningrado con Il fiore di pietra (1957, poi a Mosca nel 1959) e La leggenda dell’amore, nel 1959 e al Bolshoi due anni dopo, poi rielaborata nel 1982. Fu quest’ultimo un successo un po’ paradossale, che sembrava contrastare con la società moscovita in cui si muovevano le idee che si sarebbero affermate poco dopo con l’arrivo al potere di Mikhail Gorbaciov e con la “perestroika”. La “glasnost”, la nuova chiarezza della vita pubblica, si faceva largo infatti dopo i decenni della tenebrosa e grandiosa costruzione politica e sociale sovietica; decenni in cui (e qui sta il paradosso) si era affermata proprio l’opera di Grigorovich!..
Oltre a quanto si è detto sulla forza delle masse in scena, lo stile del coreografo è chiaro e riconoscibile, dalle sue opere giovanili fino alle più recenti. Anzitutto, emerge l’intenzione “sinfonista” profonda, ma sempre intrinsecamente danzata, eludendo la pantomima descrittiva e cercando una forma basicamente ritmica e musicale per ogni espressione poetica.
Ai titoli citati possiamo aggiungere Ivan il Terribile (1975 al Bolshoi e 1976 all’Opéra di Parigi), Don Chisciotte (1982, Copenhagen); a Mosca Raymonda (1984), Giselle (1987); La Bayadère (1992); Le Corsaire (1994). Da segnare la data del 9 marzo 1995: quel giorno Grigorovich prese l’uscita artisti del teatro, rimosso dall’incarico di direttore del balletto; ma rientrò diversi anni più tardi dalla porta principale, chiamato a salvare la programmazione e il favore del pubblico moscovita che lo reclamava a gran voce.
Yuri Grigorovich è stato direttore del Balletto del Teatro Bolshoi di Mosca, in diverse fasi, dal 1964 al 1995. Dopo di lui, si sono succeduti Vladimir Vassiliev, nel quinquennio seguente (e il grande danzatore, “mito vivente” del Bolshoi, per un breve periodo è stato anche direttore generale del teatro), Boris Akimov, il coreografo Alexei Ratmansky, Yuri Burlaka, poi Serghei Filin fino al 2016, quando è stato nominato Makhar Vaziev (proveniente dalla direzione del Balletto del Mariinsky di San Pietroburgo e poi di quello della Scala di Milano).
In un’intervista al Financial Times dell’anno scorso: «L’era sovietica è terminata – ha sentenziato Vaziev dallo stesso trono occupato per trent’anni da Grigorovich – ma dobbiamo trarre il meglio da quell’epoca, quel che era ben fatto e che ancor oggi ha valore, e andare avanti». Evidentemente, anche per lui il lavoro del suo ormai lontano predecessore fa parte di quel che era ben fatto, e soprattutto di quel che ha ancora valore… E aggiungeva: «Nell’arte, io non sono democratico». Proprio come Grigorovich.
Dopo Mosca, Yuri Grigorovich ha traslocato a Krasnodar, nella Russia meridionale, dove lo stato gli ha permesso di ampliare a sua misura la compagnia di balletto esistente, portandola a 110 danzatori, coi quali ha aggiornato e messo in scena i suoi L’età dell’oro, Il lago dei cigni, La Bayadère e Raymonda. Nel 2010 è tornato trionfalmente al Bolshoi con una ripresa del suo Romeo e Giulietta.
Ormai anziano, non ha però mai mancato di occuparsi anche del Prix Benois de la Danse, di cui è fondatore e presidente, aiutato dalle sue fedeli Regina Nikiforova e Nina Kudriavtseva-Loory.
Le sue opere, spesso in versioni rielaborate da lui stesso, sono tuttora l’ampio fondamento del repertorio di balletto della gran casa moscovita; scelta forse conservatrice ma saggia, che dà ossigeno continuo alla compagnia.
Roger Salas
BALLET2000 n° 266, aprile 2017